//A scuola di diritti umani

A scuola di diritti umani

di | 2019-03-05T12:30:47+01:00 5-3-2019 6:50|Alboscuole|0 Commenti
di Nicolò Fuzio, 2E Qualche giorno fa ho conosciuto Kater, un ragazzo magnifico che ci ha parlato della sua opinione del mondo e di cosa succede veramente a un immigrato. Questo incontro mi è servito a farmi una mia visione di come stanno veramente le cose nel mondo, e di questo ringrazio infinitamente Kater. Prima avevo un po’ da ridire su questi immigrati; la televisione ha contribuito parecchio con i suoi servizi dove alla fine la morale del discorso era: questi immigrati ci rubano il lavoro e ci creano solo problemi, perché non tornano nel loro paese! Però non avevo affatto paura di farmi una mia idea della situazione: quando ci hanno comunicato dell’incontro ero entusiasta! Kater ha iniziato presentandosi:” Sono Kater, un attivista”. Sono rimasto molto colpito dalla parola: un attivista è una persona che dedica la propria vita ai diritti umani, quindi ai diritti degli altri. Secondo il mio parere le persone che si impegnano hanno un cuore nobile, e non bisognerebbe trattarle nel modo in cui vengono trattate: loro dedicano la loro vita per migliorare, in futuro, quella dei nostri figli. Kater ha continuato a parlare dei diritti umani, poi ha detto una frase che ha cambiato il mio modo di pensare:” Io sono un immigrato, ma non uno sbarcato in Italia per motivi economici, né tanto meno per motivi di guerra, io sono un migrante sognatore!”. Quando Kater ha detto questa frase io l’ho subito paragonato ad Ulisse, il personaggio protagonista dell’Odissea, perché secondo me il suo cuore può essere definito nobile tanto quanto quello di un eroe mitologico. Secondo me questa è una frase che non si può commentare: Kater ha voluto abbandonare il suo paese, la sua famiglia, per realizzare il suo sogno, cioè quello di eliminare i problemi del mondo. Lui ha rischiato di morire più volte per realizzare il suo sogno, questa è una cosa che io ammiro molto. Poi, continuando, ha parlato di un argomento fondamentale, che noi italiani tralasciamo quando diciamo:” Tornate al vostro paese!”. Ci ha parlato del suo viaggio prima di imbarcarsi sul barcone. Ci ha spiegato che prima di imbarcarsi è stato arrestato tre volte, ma non in un carcere qualsiasi: in un carcere dove hai una possibilità su dieci di uscirne vivo. L’hanno messo in una camera con altre cinquanta persone e un solo secchio per i servizi igienici, poi ogni mattina venivano picchiati ed erano costretti a chiamare casa, la loro madre, per chiedere il riscatto, e,  mentre lo facevano, le guardie sparavano all’aria. “Immaginate per una mamma” ha detto lui ,”Sentire la voce di un figlio forse per l’ultima volta”- si è fermato – “Non sapere se potrà mai rivedere suo figlio, ed essere costretti a dare tutto in vendita per comprare il figlio”. “Comprare! Comprare! “. Questa parola mi ha fatto riflettere sulla disperazione economica che si vive lì, in Africa. Mi sono promesso che non dirò mai più a un immigrato, soprattutto se dell’Africa, di tornare al proprio paese. Kater ci ha raccontato di ragazzine della mia età costrette a “vendersi” per portare i soldi al loro padrone; ragazzine a cui è stato strappato il diritto allo studio, il diritto di vedere la propria famiglia; ragazzine a cui è stata strappata la libertà, la vita, perché vivere senza libertà è come vivere in schiavitù. Dopo le torture nelle carceri spesso i migranti  sono costretti ad attraversare il deserto per settimane con solo quattro litri di acqua. Kater ha visto persone cadere dalla Jeep e morire di sete, bambini che cercavano del latte nel seno delle madri, senza essere consapevoli che erano morte. Inoltre dopo il miracolo, perché solo così si può chiamare, di essere sopravvissuti a tutto quello, sei costretto a lasciare la tua vita alla sorte, imbarcandoti sul sudicio barcone che non può reggere più di cinque o sei persone. Molte persone muoiono, chi di sete, chi di fame, chi cade in acqua senza saper nuotare; altre persone hanno ancora oggi i segni della bruciatura sulla pelle, causata dal miscuglio tra acqua e benzina. Poi arrivati in Italia sono costantemente e ripetutamente guardati male e discriminati per il colore della loro pelle. Qualche giorno fa ho sentito una storia in televisione: al telegiornale ho sentito la storia di un bambino africano molto bravo e studioso. Un giorno la sua famiglia decide di imbarcarsi su un barcone che li avrebbe portati in Italia. Ecco, questo bambino è stato costretto a cambiare vita e a lasciare tutto in Africa; però prima di imbarcarsi lui ha avuto il tempo di cucirsi la pagella, con ottimi voti, alla camicia. Il corpo del bambino è stato trovato qualche giorno dopo morto annegato in mezzo all’Oceano. Questo bambino prima di imbarcarsi avrebbe potuto correre a salutare i suoi amici per l’ultima volta, invece ha scelto di cucirsi la pagella alla camicia. Forse era convinto di arrivare in Italia ed essere ben accolto grazie alla sua pagella, o di trovare subito un lavoro, o forse di essere ammesso in un ‘altra scuola. Questo è quello che mi fa arrabbiare più di tutto. Non mi importa niente se quel bambino ha una splendida pagella! Noi dovremmo accoglierlo nel nostro paese, nella nostra casa non per la sua pagella, ma perché nel mondo siamo tutti uguali, siamo tutti esseri umani! Ho riflettuto molto e poi mi sono chiesto: ”Perché io non devo soffrire e Kater, come qualsiasi altro bambino dell’Africa, sì?”. Ma alla mia domanda, purtroppo, non ho trovato una risposta con un senso logico. Dopo Kater ci ha raccontato di una sua amica che amava molto la scuola e il suo sogno era studiare. A questa bambina è stato strappato il diritto allo studio ed è stata costretta a sposarsi con un uomo di trentotto anni. Io, per fortuna, non posso provare la tristezza che ha provato lei quando è stata costretta a essere schiava del marito, a essere consapevole di non essere più libera. Noi siamo tutti esseri umani, la nostra è un’unica razza: quella umana; per me ormai non esiste la razza italiana, la razza africana…, c’è solo la razza umana, che ha delle regole che dicono che siamo tutti uguali, tutti con gli stessi diritti. Alcune persone dicono: ”Prima gli italiani”. Io questa frase l’ho leggermente trasformata, io dico: “Prima essere umani”, cioè non pensare a se stessi ma essere sempre aperti e pronti ad accogliere ed ospitare tutti quelli che ne hanno bisogno.