Delia Rivetti V D – Il sole splendeva e un vento fresco faceva tintinnare le perline del suo sari, mentre guardava dubbiosa le nuvole con i suoi occhi lattiginosi. Aveva smesso da tempo di ascoltare ciò che quella sciocca turista le tentava di dire. I suoi occhi brillavano e la sua voce era squillante, mentre tentava di convincerla a venderle a un prezzo più basso quella strana ocarina che aveva intagliato il giorno prima. Lei però restava seduta tranquillamente in una sedia di vimini. La sua pelle scura era solcata da profonde rughe e sarebbe stato difficile per chiunque provare ad indovinare la sua età. Spostò lo sguardo sulla giovane, che non aveva ancora finito di parlare e si leccò le labbra secche inumidendole. Poi contrasse la bocca in una sorta di ghigno dal quale si intravedevano denti pronunciati e giallognoli. Un ciuffo unto di olii e grigio fuoriusciva dal sari e ondeggiava lentamente, mentre gli occhi scrutavano con aria maligna la ragazza che aveva davanti, consapevole di aver trovato l’ennesima turista da ingannare. La Baba iniziò a giocherellare con l’enorme anello che aveva appeso al naso, muovendolo lentamente con le dita grinzose e ossute, mentre con l’altra mano, a dir poco scheletrica, teneva l’oggetto dell’interesse della sciocca turista. La ragazza dal canto suo era fermamente determinata ad ottenere ciò che voleva. Era vestita semplicemente, un jeans e una maglietta con un adorabile gattino disegnato sopra. Un gigantesco cappello copriva una cascata di capelli castani, che incorniciavano il suo giovane volto emozionato. Amava viaggiare, anche se preferiva di gran lunga restare a casa, lontana da qualunque tipo di contatto umano e sola con la sua collezione. Però ora doveva concludere la sua trattativa ed ottenere un nuovo pezzo per la sua collezione. Perché proprio una strana ocarina a forma di gatto, vi chiederete, ma la risposta è alquanto buffa e strana. Lei amava i gatti. Amava il loro pelo soffice, il loro corpo snello e sinuoso, i loro occhi meravigliosi e la loro eleganza nel camminare. Avrebbe tanto voluto avere un gatto, se solo quest’ultimo avesse ricambiato anche solo un po’ il suo amore verso la loro specie. Il suo era appunto un amore a senso unico: lei amava i gatti, ma i gatti, per qualche strana ragione, non la sopportavano e fuggivano via spaventati ogni volta che la vedevano, oppure le ringhiavano contro. E non potendo avere un gatto, decise di iniziare a collezionare ogni oggetto che avesse una forma anche lontanamente somigliante alla sagoma dell’animale che tanto amava. Gattini di peluche, statuette, bottiglie, pentole, bicchieri, libri, strumenti musicali a forma di gatto riempivano la sua casetta in periferia. Ogni tanto si concedeva viaggi come quello per trovare altri tesori “gattosi” e solo in queste occasioni usciva di casa e relazionava con altri esseri umani. Era così impegnata ad elogiare la manifattura di quello strumento che le parole della vecchia arrivarono alle sue orecchie come un fulmine a ciel sereno. “Suno, main tumhen de doonga” (Senti, te lo regalo); la ragazza sorrise e si complimentò con se stessa per essere riuscita a far cedere quell’austera vecchia. Le aveva appena detto che le avrebbe regalato l’oggetto del suo interesse e sentiva di non aver passato le ultime due ore a contrattare invano. “Dhanyavad!” (Grazie), la ringraziò e mise con cura l’ocarina nella sua bisaccia, ridacchiando tra sé, mentre la Baba sospirava, sprofondando nella poltrona, che pareva quasi risucchiarla, tanto rinsecchita e minuta era. Certo era stata un’avversaria degna di nota: poteva sembrare una debole strega, ma aveva una grinta e una determinazione non indifferente e questo glielo doveva riconoscere. Però l’importante era essere riuscita nel suo intento e di non aver pagato diecimila rupie per quell’ocarina. Proseguì velocemente tra le altre bancarelle, pronta ad uscire da quel caotico posto che era il mercato indiano. Proprio quando stava per chiamare un taxi, il suo sguardo fu catturato da una figura scura, che camminava incurvata e che aveva in mano tante piccole boccette colorate di svariate forme e colori. Osservò ogni ampolla minuziosamente, finché il suo sguardo non si concentrò su un etichetta: “Cat Ink”. Il suo cervello elaborò in un attimo quelle due parole e si ritrovò a sorridere nella direzione di quella strana ombra. Si avvicinò lentamente, quasi temendo che sparisse da un momento all’altro, però quando fece per parlare, l’ombra ricurva la precedette, parlando anche, tra l’altro, un ottimo inglese. “My dear, do you want one of these flask of ink?” la voce della figura era profonda e raschiante, a dir poco insopportabile ed irritante, ma la giovane sorrise lo stesso, rispondendo amichevolmente. “Of course, they’re great. Can I see the black bottle?” la figura parve tremolare e un maleodorante odore si diffuse nell’aria; la giovane dovette trattenersi dal tappare il naso e fuggire via, lontana da quel rivoltante mercante che aveva di fronte. Una mano giallognola e rinsecchita sfiorò le varie boccette, facendole tintinnare con le lunghe unghie nere, sudicie. Lentamente afferrò la boccetta d’ebano e la avvicinò al volto, ancora nascosto da quel putrido mantello nero.“My cat ink, excellent choice.” disse solo e le porse la boccetta. Lei l’afferrò titubante, cercando di non sfiorare la mano giallognola del venditore. Appena la ebbe tra le mani, iniziò a studiarla attentamente, scuotendola leggermente, per verificarne il contenuto. “How much?” alzò lo sguardo, ma il venditore sembrava sparito nel nulla. Si sentì gelare e iniziò a guardarsi intorno, alla ricerca della malferma figura dell’uomo, ma non ve ne era traccia. Permaneva solamente l’orribile puzzo che portava addosso. La giovane, allora, fece quello che qualunque persona sana di mente avrebbe fatto: mise la boccetta nella borsa e salì su un taxi, diretta all’aeroporto.