di Vittorio Micucci Classe 3 E –
Ebbene si, quel giorno arrivò anche per noi. Era la mattina del 1939, una giornata ancora quasi estiva, date le alte temperature e considerato il mese settembrino che nasceva. Papà si stava preparando, come tutte le mattine, per andare a lavorare nella sua macelleria, ma in quel momento bussò alla porta il postino.
La faccia di quest’ultimo era molto preoccupata, ma mai ci saremmo immaginati il contenuto della lettera.
“Per il Signor Domenico Micucci” e in bella vista, lo stendardo di Lanciano rappresentante tre colli che si disperdono nell’azzurro ciel e la scritta “Repubblica Italiana”.
Anche il viso di papà mostrava preoccupazione dopo la vista di quelle scritte.
Aprì a malincuore la busta contenente la lettera e, lentamente, la lesse.
Non sto qui a raccontarvi che cosa ci fosse scritto. In breve, era l’invito, anzi, l’obbligo (che era scritto gentilmente per “educazione”) ad arruolarsi nell’Esercito Italiano e a partire l’indomani per raggiungere il campo di reclutamento più vicino al luogo di residenza.
Premetto che mio padre era un uomo forte e coraggioso, impavido e non era solito piangere.
Questa volta fece un’eccezione.
Aprì la finestra e si affacciò dal balcone che dava sulla piazza del mercato coperto.
Stava piangendo ma si riprese subito.
A quel tempo ero solo un bambino ma andai vicino a lui e feci una domanda che vi sembrerà insensata ma che per la mia vita giocosa ed infantile, sembrava doverosa:
“papà, ma puoi evitare di andare lì?”
Con le lacrime agli occhi si piegò verso di me e mi disse:
“Vittorio, potrei fare come fanno altre persone, tagliarsi un dito per non essere ammesso all’esercito, ma se sono stato invitato ad arruolarmi, c’è un motivo”.
Insistetti: “ papà, ti prego, resta qui”.
Lui, con una dolcezza innaturale mi disse: ”Libererò l’Italia e sono convinto di questa scelta”.
Ripensandoci adesso, la sua scelta mi è sembrata giusta e io sarò sempre fiero di lui.
Micucci Vittorio, III E Umberto I Lanciano