//L’immigrazione del Black Friday: è giusto omologarci?

L’immigrazione del Black Friday: è giusto omologarci?

di | 2018-11-30T11:05:36+01:00 28-11-2018 16:19|Alboscuole|0 Commenti
di Aida Muratore (classe 3^C) – Il famoso “Venerdì nero”, meglio conosciuto come Black Friday, è l’ennesima consuetudine importata dagli USA. Ma vi siete mai chiesti dell’origine di questa “ricorrenza”? Il venerdì,  tanto atteso da tutti gli amanti dello shopping, cade l’indomani del giorno del Ringraziamento (una festa che si celebra il quarto giovedì di novembre negli Stati Uniti e in Canada) ed è la data in cui i negozianti americani propongono sconti speciali per dare il via alle spese natalizie. Perché proprio nero? Negli anni Sessanta i registri contabili dei negozianti venivano compilati a penna e si utilizzava quella rossa per conti in perdita, quella nera per i conti in attivo. Nel Black Friday, grazie a queste promozioni, i conti finivano decisamente in nero. Esistono anche altri giorni dedicati allo shopping vantaggioso come per esempio il “Cyber Monday” (lunedì cibernetico) fissato il lunedì successivo al black friday e dedicato interamente agli acquisti online. L’Italia non poteva restare indifferente all’unicità americana, quindi adotta anch’essa il Black Friday, pur non festeggiando il giorno del Ringraziamento. D’altronde è una questione di comodo usufruire degli sconti in tutti i negozi soprattutto se  continuano  per quasi una settimana. Non vi pare? E qui si evidenzia una contraddizione:  molti protestano a gran voce contro Halloween il cui arrivo in Italia ha provocato polemiche e urtato la sensibilità dei tradizionalisti adducendo tesi di presunta colonizzazione culturale americana, di manipolazione economica, di globalizzazione e di scomparsa delle tradizione. Hanno ragione, ma non troppo se si pensa che il suo connazionale black friday   è stato accolto benevolmente.  Conviene quindi continuare a chiedere “dolcetto o scherzetto” e  approfittare del Black Friday per risparmiare o abolirli entrambi? Dobbiamo continuare ad omologarci con il resto del mondo o dobbiamo difendere le nostre tradizioni  e il made in Italy? Alle generazioni future l’ardua sentenza.