di Carmela D’Antonio (classe 2^E) – La classe seconda E dell’Istituto Comprensivo Don Enrico Smaldone ha parlato molto del sacerdote che dà il nome all’istituto: i ragazzi hanno parlato di lui sia l’anno scorso facendo riferimento al libro di Maria Rossi “LOMASCURO”, che quest’anno, calando la riflessione nel 104esimo anniversario della nascita del religioso facendo riflessioni, con la professoressa Patrizia Sereno, sul nesso con il 20 novembre, giornata internazionale dei diritti del fanciullo.
I ragazzi si sono convinti ancor di più che la città di Angri si deve riappropriare della memoria delle gesta del sacerdote, a cui non basta dedicare una piazza, a cui non basta dedicare un istituto, cui non basta un busto … occorre uno sforzo della società angrese, che faccia capire a tutti che non si ha intenzione di far svanire i ricordi e le opere di don Enrico che ad Angri ha fatto la storia: è, infatti, colui che ha dato un’ opportunità a ragazzi che, poveri, orfani, a volte anche malati, non avevano affetti, non avevano un tetto, non avevano da mangiare. Probabilmente a questi ragazzi il destino aveva strappato l’opportunità di avere un futuro, di vedere riconosciuti i loro diritti. Il ricordo di don Enrico Smaldone non deve essere solo un rituale formale, ma deve essere un esempio da raccogliere, da portare avanti, deve restare sempre nelle nostre menti, scritto con un pennarello indelebile. Ed è questo che la Seconda E vuole, vuole che la società non chiuda gli occhi e si tappi le orecchie, che non si finga sorda e cieca, perché davanti a problemi di minore difficoltà ci sente e ci vede molto chiaramente. Ai giovani non serve questo, a loro serve ben altro: noi dobbiamo aiutare i nostri fratelli e non relegarli, per nessuna ragione al mondo nella dimensione di “ultimi”, altrimenti a che serve dire che SIAMO TUTTI UGUALI? Che siamo tutti uguali noi lo sappiamo fin troppo bene. Ma dalle parole si deve passare ai fatti. I giovani di oggi hanno bisogno di guide concrete, di modelli da seguire per essere ascoltati, per essere capiti. Con questa società che si tappa le orecchie e si copre gli occhi, si rischia solo di essere COMPLICI, complici di una deriva molto pericolosa, una deriva che va oltre, arrivando a conseguenze drammatiche e irreparabili. Per tutto ciò ci si deve battere e seguire esempi di spessore come quello di don Enrico Smaldone.