di Angelo Maria Noviello, 4ª D.
Tutti dovrebbero vedere almeno una volta nella vita Fight Club, capolavoro cinematografico del regista David Fincher.
Per chi non avesse avuto l’opportunità di vederlo, riassumiamo in breve la trama. Il protagonista, che è anche la voce narrante (ma di cui non verrà mai detto il nome), è un semplice impiegato stressato e senza scopi. In un momento di massima difficoltà mentale prende vita Tyler, il suo alter ego e rappresentazione del suo DPM (“disturbo da personalità multipla”). Né il protagonista né lo spettatore possono sospettare che si tratti di un personaggio immaginario. Tra i due inizia una strana simbiosi e l’alter ego diviene a poco a poco leader di un gruppo sociale di natura mutevole: nato come gruppo di boxe clandestina, in seguito tenderà a sovvertire l’ordine pubblico e politico con violente azioni anarchiche. Tyler riesce a tenere all’oscuro di questi eventi il protagonista, che in seguito a diverse amnesie e vuoti di memoria aveva perso la padronanza delle proprie scelte. Il protagonista riuscirà solo alla fine a riprendere il controllo della propria psiche, scoprendo che era stato proprio lui a cedere il controllo al suo alter ego; appresa la sconcertante verità e la reale natura del progetto di Tyler, il protagonista dovrà sacrificare sé stesso per fermare il folle piano partorito dalla sua mente malata.
Questo film ci offre lo spunto per affrontare il problema che dall’inizio alla fine è il punto cardine attorno a cui ruota l’intera storia, e cioè il disturbo da personalità multipla, un disturbo psichiatrico che spinge chi ne è affetto a credere di interagire con una o più persone immaginarie, e a compiere di conseguenza azioni inconsapevoli in linea coi caratteri proiettati sui propri alter ego. Disturbi del genere possono risultare quando, a seguito di traumi, si produce un eccesso di stress, ansia e depressione. Anche eventuali sintomi lievi non devono essere presi alla leggera, perché essi possono facilmente degenerare in casi più gravi che vanno ad influire direttamente sul cervello, compromettendone le normali attività. Come nella maggior parte dei disturbi psichiatrici, il cervello di chi ne è affetto (come riportato dall’American Psychiatric Association nella quinta edizione del DSM) evidenzia un tipo di attivazione anomala della corteccia prefrontale e cingolata anteriore, che sono le aree solitamente adibite al controllo delle emozioni, a cui risponde una iper-attivazione dell’amigdala, che accresce la sensazione di paura anche ai minimi impulsi. Ciò ovviamente rende la vita di tutti i giorni simile a quella del protagonista di Fight Club, carica di ansia e tristezza e apparentemente priva di scopi, fino ad innescare un loop autodistruttivo. Il protagonista di Fight Club è un semplice impiegato, e ciò può spingerci a riflettere su quanto i disturbi mentali siano molto più diffusi e comuni di quanto ci si aspetti. Difatti l’1% della popolazione ha disturbi certificati e il dato è in aumento, considerato che la maggior parte dei disturbi sopraggiunge dopo eventi traumatici, che capitano almeno una volta nella vita al 50% della popolazione. Le cause quindi possono essere diverse e non sempre riconoscibili. Dal canto nostro possiamo impegnarci a contrastare l’insorgere di questi disturbi prestando molta attenzione al comportamento (nostro e altrui) e controllando gli improvvisi cambiamenti di umore e di equilibrio mentale delle persone a seguito di un evento traumatico. Ovviamente questo non ci autorizza ad improvvisarci psichiatri e azzardare delle diagnosi. In caso si noti qualcosa di strano, è importante non avere paura e, se necessario, chiedere l’aiuto di uno specialista. Prendiamoci cura della nostra salute mentale.
PS: questo articolo non avrebbe mai dovuto essere scritto; “la prima regola del Fight Club è… non parlare mai del Fight Club!”.