di Lapo Ruggero Holmes, Classe 1^B. – Cari lettori e care lettrici, in quest’articolo vorrei parlare della leggendaria battaglia di Waterloo. Il primo grande personaggio che combatté a Waterloo fu, ovviamente, l’Imperatore Napoleone Bonaparte, capo assoluto dell’armata francese e dell’Impero napoleonico. Fu un grande comandante e combatté 61 battaglie, vincenedone la maggior parte. Il secondo è Gerald Leberecht Blucher, Principe di Wahlstadt. È stato un ottimo condottiero. Inizialmente faceva parte della cavalleria svedese ma fu poi catturato dai Prussiani e da quel momento prestò servizio nella cavalleria prussiana fino a diventarne comandante. Il terzo era Michel Ney, Principe della Moscova. Fu un abile capo di cavalleria francese che combatté con audacia fino al 1797, anno in cui raggiunse il generalato. Fu fucilato a Parigi nel 1815. Il quarto a prendere parte alla battaglia di Waterloo fu Arthur Wellesley, Duca di Wellington. Fu il più grande condottiero inglese di quell’epoca e nella battaglia di Waterloo era il comandate assoluto dell’esercito inglese. Una curiosità è che Arthur credeva di essere nato il 10 Maggio, in realtà era nato il 29 Aprile. Infine c’era il comandante Emmanuel de Grouchy, maresciallo di Francia, forse il miglior comandante di cavalleria d’Europa dopo Gioacchino Murat (Re di Napoli, Capo della cavalleria francese) e il defunto Lasalle. Napoleone, infatti, intendeva umiliare gli avversari mostrando comandanti capaci e di nobili origini.
Vediamo ora gli antefatti. Lo zelo delle armate rivoluzionarie francesi si era trasformato nel tempo creando un esercito ben organizzato sotto il comando di un uomo solo: Napoleone Bonaparte. Napoleone aveva conquistato moltissimi territori ma dopo la disastrosa campagna di Russia del 1812, della Grandé Armée di Bonaparte ea rimasto un nucleo di superstiti che, nonostante le gravi perdite, continuava a dimostrare il suo valore combatendo fino all’ultimo per difendere la Francia dagli eserciti degli alleati che stavano ultimando l’occupazione della potente nazione. Il maresciallo Marmont, a tradimento, consegnò Parigi ai Cosacchi russi, approfittando del fatto che l’Imperatore fosse lontano dalla capitale, a Fointanbleu. Bonaparte si preparò immediatamente a marciare con le sue truppe ma la notizia del passaggio del maresciallo Marmont al nemico e il rifiuto del Duca Michel Ney di muovere l’esercito verso Parigi constrinsero Napoleone alla resa. Il 6 Aprile 1814: Napoleone si congedò dalla sua amata Guardia Imperiale e si diresse al carro che lo avrebbe portato in esilio sull’isola d’Elba. L’uomo che aveva conquistato l’Europa intera, adesso era solo padrone di uno sperduto isolotto nel Mediterraneo e al suo comando aveva una guardia personale di 1000 uomini al posto della poderosa Grandé Armée che poteva contare circa mezzo milione di uomini. Una volta giunto sull’Elba, sembrava che tutto stesse andando male per Napoleone: il governo francese gli nego i due milioni di franchi che gli aveva promesso e sua moglie Giuseppina morì prematuramente di difterite. Inoltre gli fu impedito di vedere suo figlio, conosciuto come re di Roma. Sull’isola d‘Elba Napoleone era continuamente spiato dagli uomini del generale Talleyrand che lo privavano di ogni momento di privacy; Talleyrand faceva pubblicare ogni movimento sospetto dell’Imperatore sui giornali. Mentre succedeva questo, il caos irrompeva in Francia, creando conflitti di ogni tipo tra bonapartisti e anti-bonapartisti. Dopo parecchi mesi di prigionia Napoleone si accorse che per lui si stava aprendo una piccola finestra di speranza. Così, il 1 Marzo del 1815 Napoleone scappò dall’Isola che lo teneva prigioniero e sbarcò nel sud della Francia, dando inizio ai più famosi cento giorni della storia. L’Imperatore era tornato! Una volta tornato in Francia Napolone dovette farsi strada fino a Parigi e, oltretutto, doveva anche riguadagnare la fiducia della Camera dei Deputati per poter prendere il potere sulla città che era ora immersa nel caos. Riuscì nella maggior parte di queste imprese, soprattutto grazie ai sostenitori che si erano uniti a lui nell’ascesa verso Parigi. Bonaparte pensò di dichiarare la pace col resto dell’Europa, e così fece. In realtà questo era solo un trabocchetto poiché Napoleone sapeva che molti stati non sarebbero stati d’accordo, e questo gli avrebbe dato una buona ragione per iniziare una seconda guerra. Napoleone sapeva anche che avrebbe dovuto sconfiggere gli inglesi ed il resto dell’esercito alleato separatamente, altrimenti la forza del nemico sarebbe raddoppiata. Perciò l’Imperatore cercò di utilizzare il vantaggio numerico e lo scontro “individuale” per sconfiggere le linee di soldati di Wellington e Blucher. Gli eserciti che si sono affrontati nella battaglia di Waterloo erano relativamente simili, anche perché ormai la grande differenza tra gli eserciti rivoluzionari francesi e quelli altamente conservatori inglesi era quasi svanita. Nonostante questo, ci fu una differenza-chiave: la Francia aveva istituito la coscrizione obbligatoria per via delle sue grandi dimensioni, a differenza della maggior parte degli stati europei (eccetto la Prussia). L’esercito inglese era composto interamente da professionisti, ma questo non comportava implicazioni elitarie di alcun genere. Infatti, il mestiere del soldato era malpagato e sottoposto ad una durissima disciplina. Non a caso un’alta percentuale di arruolati era composta da irlandesi e scozzesi, poiché l’Irlanda e la Scozia, sovrappopolate di contadini miserabili, erano sempre state i maggiori fornitori di truppe per gli eserciti di Sua Maestà. I soldati che Wellington schierò a Waterloo comprendevano una percentuale tra il 20 ed il 40% di irlandesi. Ma l’esercito britannico non era completamente privo della presenza inglese a Waterloo, infatti durante le guerre napoleoniche anche i britannici rimasero a corto di uomini. Gli ufficiali dovettero perciò far ricorso alla milizia. Sicché a Waterloo erano anche presenti degli inglesi, producendo un certo innalzamento nell’origine sociale delle truppe, che ora venivano anche da famiglie borghesi con una certa istruzione. Tuttavia, la grande maggioranza dei soldati era ancora composta da disoccupati che non avevano trovato un modo migliore per vivere. Passiamo agli equipaggiamento e all’aspetto dell’esercito francese. La famosa Grande Armée di Naapoleone non era solo nota per le sue vittorie, infatti erano in tanti ad essere sorpresi dalle spettacolari uniformi dei soldati e dalla precisione quasi “da parata” con cui operavano. Guardando gli acquerelli di Carle Vernet è possibile vedere come si vestivano i soldati dell’esercito napoleonico: i colonnelli del 2° reggimento della guardia indossavano di solito una giacca bianca su una camicia scarlatta. Erano provvisti di stivali neri (come del resto tutto l’esercito) e pantaloni bianchi. Il cappello era uno shako, un modello particolare in questo caso, alto molto più del dovuto e decorato con una piuma bianca al centro ed un paio di strisce d’oro simmetriche. Erano armati di sciabola ma raramente di pistole flintlock. I cacciatori della fanteria leggera (particolare tipo di fanteria creato appositamnte per “dare la caccia” alla cavalleria nemica) indossavano una giacca blu mare con degli scaldacollo rossi. I pantaloni erano dello stesso colore della giacca ma avevano delle strisce bianche lungo i bordi. Anche qui il cappello era uno shako, questa volta di dimensioni normali e dotati di una piccola visiera. Erano armati di flintlock. I capi battaglione ed i colonnelli del treno d’artiglieria avevano le stesse armi e gli stessi indumenti: Giacca blu cobalto, pantaloni bianchi, shako nero e bianco con piuma grigia, armati entrambi di sciabola. Al contrario, gli ufficiali della fanteria leggera indossavano un bicorno nero con una piuma rossa, uno scaldacollo rosso, una giacca blu mare e pantaloni bianchi. Anche loro erano armati solo di sciabola. I colonnelli e capi battaglione dell’artiglieria appiedata aveavno uno stile tutto loro: pantaloni blu mare, giacca blu mare con cintura bianca e linee rosse sui bordi. Lo shako era nero con decorazioni d’oro e presentava una piuma bianca per i colonnelli e una rossa per i capi battaglione. I colonnelli del 10° reggimento di corazzieri (una cavalleria pesante molto potente) erano vestiti in modo molto originale: corpetto in ferro, giacca blu mare (sotto di esso), pantaloni bianchi, gunati grigi e cintura di pelle in diagonale color marrone. Indossavano un’elmo da corazziere di bronzo, con fasce metalliche, due penne ai lati e una piuma grigia sul retro. Avevano una sciabola. Gli artiglieri dell’artiglieria a cavallo indossavano abiti più classici ma erano fondamentali poiché potevano eliminare una linea intera di fanteria utilizzando le granate e le flintlock. Erano vestiti così: pantaloni blu mare, giacca blu mare, cintura diagonale bianca con bordi rossi e shako rosso e nero. Il 3° reggimento lanceri era vestito in modo molto particolare: indossava giacca e pantaloni verde scuro, corpetto rosso chiaro, cintura diagonale bianca, elmetto d’oro con cresta nera. Adesso passiamo alla battaglia. L’ esercito francese disponeva di 200.000 uomini, di cui 124.00 formavano 175 battaglioni, 180 squadroni e 50 batterie di artiglieria. Questo esercito si era potuto radunare in collina, in un’area di 30 chilometri quadrati senza che il nemico se ne accorgesse. Subito oltre la frontiera c’erano Wellington (il comandante degli inglesi) e lo scorbutico Blucher (il comandante dei prussiani). Le truppe di Wellington erano incautamente disposte su un vasto territorio e potevano contare 133 battaglioni, 109 squadroni e 34 batterie. L’armata prussiana invece si trovava più a Sud rispetto agli inglesi e contava 136 battaglioni, 137 squadroni e 41 batterie. I francesi mossero il primo passo il 14 Giugno. A causa di quest’azione, Von Blucher decise di attaccare i francesi. Questo era esattamente ciò che Napoleone voleva. L’esercito prussiano si era separato dagli inglesi finendo dritto nella tenaglia francese. Wellington, senza nessuna ragione apparente, al posto di coniugarsi ai prussiani per sferrare un potente attacco al nemico, si spostò verso ovest. Napoleone ordinò a Ney di attaccare i Prussiani, affermando che sarebbero stati annientati. Purtroppo non fu così perché Ney fu ostacolato da Wellington lungo la marcia. Così, il 16 Giugno, Blucher perse solo 21 cannoni e 16.000 uomini. Bonaparte incaricò Emmanuel de Grouchy di inseguire i prussiani superstiti, ma Grouchy scambiò i disertori prussiani con l’esercito vero e proprio, che così ebbe il tempo di ritirarsi in aiuto di Wellington. Nel frattempo Napoleone aveva programmato un attacco alle forze nemiche inglesi, con cui intendeva scacciarli da Mont St. Jean, per poi gettarsi sui prussiani rimanenti. Però, contrariamente a quanto aveva pianificato l’imperatore, gli inglesi opposero un’ostinatissima resistenza. Il giorno dopo Wellington, una volta scoperto che con questa manovra Napoleone aveva guadagnato 24 ore di marcia sugli inglesi, decise di combatterlo a Waterloo. Il campo non era grande abbastanza per l’intero esercito francese; era attraversato da un paio di strade, una delle quali conduceva a Wavre, da dove sarebbero poi giunti i prussiani. L’inizio della battaglia era stabilito per le nove del mattino, ma poiché la notte una pioggia densa aveva trasformato la terra in fango rendendo l’artiglieria inutilizzabile, fu rimandata alle 11:30. L’attacco fu inizialmente promettente per l’Imperatore, ma ben presto si risolse in un totale disastro. Le truppe erano disposte in modo da permettere solo a quelle anteriori di sparare. Al contrario, l’esercito Inglese dispose i suoi soldati in modo tale che potessero sparare tutti. L’unico problema per Wellington fu che dopo la prima scarica di proiettili sui francesi, gli inglesi non poterono più vedere l’armata nemica a causa della forte produzione di fumo della polvere da sparo dell’epoca. Napoleone aveva pensato di eliminare le esili file di fanti inglesi grazie all’artiglieria, ma Wellington aveva nascosto i suoi soldati dietro una collina per proteggerli. Se i francesi avessero retto per un altro po’ probabilmente le sorti della battaglia sarebbero state diverse. Purtroppo ciò non avvenne perché la maggior parte dei soldati era composta da giovani coscritti privi di esperienza o da veterani troppo vecchi per combattere. Il 18 Giugno, gli Scots Greys (l’elite della cavalleria inglese) attaccarono gli inesperti e frastornati francesi, fra i quali dilagò immediatamente il panico. Gli Scots però si spinsero troppo in là nel loro inseguimento: meno della metà rientrò viva alla linea di partenza. Il maresciallo Ney guidò poi la carica dei 5.000 lanceri, cacciatori e corazzieri “nell’assalto finale” contro Wellington. Dopo questi ne seguirono altri 10.000. Per quanto questa carica fosse strabiliante, non ebbe grandi risultati per via delle disposizioni a “quadrato” della fanteria, che permetteva di sparare e usare la baionetta allo stesso tempo. L’imperatore Napoleone Bonaparte decise così di mettere in azione la “Vecchia Guardia”, ovvero dei veterani scelti su cui si poteva fare totale affidamento (basti pensare che in un’altra battaglia bastarono 2 reggimenti della Guardia per metterne in fuga 14!). Quindi, nonostante tutto, Napoleone ne sarebbe potuto uscire ancora vincitore. En Avant! I tamburi della guardia cominciarono a battere. Napoleone stesso accompagnò la Guardia fino a 660 metri dalle linee nemiche. Dopo un paio di ore la guardia arretrò. Wellington lanciò una gigantesca carica di fanteria sui francesi, e la Grandé Armée si disintegrò. Napoleone aveva perso.