Si pensa sempre
che siano i giovani che devono imparare dagli adulti e invece quando cambia la
società, dopotutto,
quasi tutti noi del
‘900, dobbiamo imparare tante cose dell’era
digitale”. Queste sono state alcune parole dette da Enrico
Mentana durante
l’intervista gentilmente concessami a
fine novembre per il
nostro giornalino.
Enrico Mentana, un
giornalista professionista dal 1982.
Classe 1955, comincia la sua carriera
quando ancora frequenta il Liceo Classico. Entra in RAI
presso la redazione
esteri del TG1 nel
1980 ed in breve diviene capo dei servizi, poi vicedirettore del TG2 e dalla fine agosto 2010, è
direttore del nuovo
TG di LA7 dove ha
raggiunto livelli di
ascolto altissimi.
Se avesse la mia età
in questa Italia come vedrebbe il suo
futuro?
“Immaginerei di dovermelo conquistare,
non solo studiando ed
arrivando alla fine degli studi, ma anche
immaginando di dover
lottare per affermare il
diritto per la mia generazione, cioè di
quelli che hanno la
mia età, di avere un
posto che non è garantito in questo momento ai giovani:
quando dico un posto
non intendo solo un
posto di lavoro, ma
anche un ruolo attivo
nella società. I vostri
fratelli maggiori, ma
anche le generazioni
immediatamente precedenti, sono state
fatte studiare ed arrivare alla laurea, ad un
dottorato o un master;
gli è stato permesso,
ma non è sempre stato così nella storia di
Italia. Però poi molti di
quelli che hanno studiato così tanto, non
hanno trovato
inserimento nella
società e sono
stati costretti o
alla disoccupazione o a ruoli e
lavori molto inferiori come specializzazione e
gratificazione rispetto a quello a
cui giustamente
ambivano dopo
tanti studi. Quin10 + 1 DOMANDE
AD ENRICO MENTANA
Il Carduccino 7
di bisogna cambiare la
società, come si dice
sempre in questi casi,
bisogna sapere che chi
ha il diritto al domani
ha diritto anche ad un
futuro”.
Crede che farebbe
comunque il giornalista?
“Beh si, non esistono
due vite. Io l’ho fatto e
come tutti probabilmente in stato di necessità, tenterei di fare qualsiasi altra cosa.
Ho sempre avuto rispetto per le persone
che hanno trovato e
cercato un lavoro anche quando quel lavoro era molto meno
gratificante e anche
per quelli che facendo
il mio stesso lavoro
hanno trovato in realtà
spazi meno esaltanti in
giornali minori o ruoli
che non sono visibili.
Capisco che il giornalismo venga considerato
una cosa per cui uno
diventa famoso, la sua
faccia visibile o cose di
questo genere, ma
questo vale soltanto
per una parte dei giornalisti”.
Come ha visto cambiare il paese da
quando ha cominciato a fare il giornalista? Come è
maggiormente cambiato secondo lei?
“Beh il Paese è cambiato tantissimo…
Quando io ho cominciato a fare il giornalista, esattamente 39
anni fa, il mondo era
completamente diverso: c’erano gli Stati Uniti, che ci sono ancora, ma c’era l’Unione
Sovietica che
gendarmi del mondo
diciamo… C’era la contrapposizione tra chi
voleva il comunismo e
chi voleva la democrazia, e questo non c’è
più… ci sono altre contrapposizioni. E soprattutto quando io avevo la tua età ci fu il
referendum sul divorzio … Pensa quanto
siamo distanti! Ancora
era in discussione una
cosa che poi ha cambiato totalmente le famiglie, il modo di essere. Pensa
all’omosessualità che
era mal tollerata e si
era lontanissimi dal
poterla ufficializzare.
Oppure si pensi alle
conquiste sul lavoro:
quando io avevo la tua
età si pensava che tutto sarebbe cambiato
per il meglio e che
sempre ci sarebbe stato un miglioramento.
Tutti i nostri genitori
erano consci del fatto
che noi avremmo fatto
una vita migliore della
loro e più strada di loro… È cambiato tutto
Segue a pag.8
Il Carduccino 8
perché noi non avevamo né gli smartphone
né i telefonini… noi
non potevamo concepire questa cosa.
L’unica cosa che avevamo erano i cari vecchi telefoni in cui bisognava mettere il dito
nel disco, formare ciascun numero del telefono della persona che
intendevamo chiamare. Era un mondo
completamente diverso. Adesso voi avete il
mondo in tasca e ciascuno si illude di poter
da solo saper tutto
quello che succede ovunque o potersi informare senza tenere a
memoria le cose, perché tanto ci sono altri
tipi di memorie: il navigatore per le macchine, il calcolatore
per le operazioni matematiche o l’agenda
per i numeri di telefono nello smatphone.
Solo per queste cose
era un mondo completamente diverso”.
Qual è il personaggio che ha intervistato con il quale si
è emozionato di
più?
Io non sono molto emotivo, devo dire la
verità… Ma ricordo
che, l’intervista che
per me è stata più toccante e molto difficile
da fare, fu con la vedova del capo della
scorta di Aldo Moro,
che fu rapito dalle
brigate rosse; furono uccisi tutti e cinque gli uomini della
sua scorta. La vedova era una donna
molto dignitosa, però
portava con sé tutto
il peso di una vicenda straziante, perché
quegli uomini erano
stati uccisi, ma per
molte settimane, finché durò il sequestro
di Moro, che si concluse a sua volta tragicamente, nessuno pensò
a loro che erano morti
subito. Quello a cui si
pensava era salvare
Moro e quindi la loro è
stata una morte al
servizio dello Stato,
provocata da chi voleva distruggere le Istituzioni… E nessuno
parlava di quei martiri”.
Continua nel prossimo numero…
Lucrezia Zampini 5B